"Da Carlone" in via del Collegio Capranica a Roma, 1914 - tratta da Livio Jannattoni, Osterie e feste romane, Roma 1977
Carrettiere a vino, cartolina d'epoca - collezione privata G. Sannibale
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Attraverso l’età medioevale alcune coincidenze onomastiche e topografiche riescono utili per la ricognizione di luoghi abitati o fre-quentati. Accennai a questo proposito la utilità delle chiese e dei nomi dei santi. Ora, prima di uscire dal medio evo, voglio ricordare anche le osterie. Poiché, tra le curiosità della campagna romana, vi è anche la permanenza nel medio evo delle osterie antiche, la fondazione di taluna nuova e la permanenza di questa fino all’età moderna. Del resto e cosa nota quanto naturale che le strade moderne corrano quasi tutte sopra vie antiche, e perciò anche i luoghi di fermata e di ricovero corrispondano agli antichi; con la sola restrizione, che noi non ne abbiamo conservato che un numero assai limitato. Dovendosi pensare seriamente adesso a restituire la viabilità e gli accessori relativi, basterebbe ripristinare ciò che gli antichi avevano ideato ed eseguito. Oggi noi, per esempio, contempliamo i ruderi della città di Aricia romana, sui margini ora deserti dell’antica via Appia, poiché la via nuova corre sulle colline di Ariccia moderna e di Genzano. L’antica locanda, hospitium modicum, nella quale Orazio scrisse di avere alloggiato, esiste ancora in un edifizio quantunque rinnovato e non ispregevole, con denominazione dispregiativa, l’osteriaccia, perché ridotta fuori del commercio. Alcune servono tuttora allo scopo, e nel medio evo hanno servito più che adesso, che sono sopraffatte dalle stazioni ferroviarie.
G. Tomasetti, La Campagna Romana antica, medievale e moderna, Arnaldo Forni editore, 1976
I carrettieri a vino
"Nel loro aspetto, ne' loro atti, nel modo di stare, d'andare, di atteggiarsi, è un'espressione altiera, una sicurezza orgogliosa, che in nessun popolo del mondo m'è accaduto d'incontrare... Se li trattate alla pari, vi trattano bene anche loro. Ma, a voler guardarli d'alto in basso, si ricordano d'essere loro i Romani veri.
Adoperano carretti d'una forma che ha del grandioso, come dianzi accennavo, ed insieme d'una semplicità antica. Due lunghe e forti stanghe posano da una parte su due ruote alte, e dall'altra, in linea orizzontale, sul dorso d'un cavallo, anche esso d'alta statura, quasi sempre nero morato, con un'incollatura, una testa, un tutt'insieme che ricorda i cavalli dell'arte antica. Il carretto non ha parapetti. Semplici traverse Io connettono di sotto, sulle quali posano otto barili. Verso sera i carrettieri partono da Genzano, e viaggiano tutta la notte dormicchiando seduti sul barile più vicino alla groppa del cavallo, appoggiandosi da lato alla così detta forcina, che è un ramo d'albero fitto nel carretto, e che dividendosi come le dita della mani in rami minori, forma una specie di nicchia, che rivestono nell'interno con una pelle di pecora. Viaggiano per lo più in parecchi, uno de' quali veglia (disposizione prudente in campagna di Roma), e così una lanterna di tela pendente sotto un carretto serve per l'intera carovana".
Massimo D'Azeglio, I miei ricordi
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Guida Spirituale alle Osterie italiane
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